mercoledì 24 ottobre 2018

Recensione di Le ragazze di Emma Cline

Titolo: Le ragazze
Autrice: Emma Cline
Genere: narrativa contemporanea

Salve lettori!
Oggi torno con una recensione! Era da un bel po’ che non ne scrivevo una recensione come si deve.
Un po’ perché ho avuto veramente pochissimo tempo per leggere in quest’ultimo periodo, un po’ perché, magari, non avevo molta voglia di recensire le letture che mi capitavano sottomano!
Ma devo dire che riprendo col botto! Perché oggi vi parlerò di Le ragazze di Emma Cline: non proprio un libro da prendere alla leggera!
Per chi non conoscesse i presupposti del romanzo: vengono narrate le vicende di una giovane ragazza che si trova invischiata in una piccola “comunità” che si racchiude attorno alla figura di un uomo, Russel. Questa comunità riprende, in realtà, quasi fedelmente le vicende della setta di Charles Manson, che terminò con la strage di Bel Air.
In realtà il libro non si focalizza principalmente su questa “setta” e sulle sue dinamiche, anche se mostra molto dei rapporti che legano i loro membri tra loro e a Russel. Il focus è, invece, sulle “ragazze”. Esse sono intese come le maggiori luogotenenti di Russel, fedeli e leali. Al tempo stesso, però, sembra vogliano sovvertire alla società degli anni 60'-70', che imponeva alla donna un ruolo ben definito e limitante. Non accorgendosi, di fatto, di essere cadute in un sistema, quale questa comunità o setta, che le pone comunque in una condizione di sottomissione e in cui il proprio Io viene denigrato attraverso la manipolazione psicologica.

Tutto il tempo che avevo passato a prepararmi, gli articoli che mi insegnavano che in realtà la vita era solo una sala d'attesa finché qualcuno non ti notava: i maschi lo stesso tempo l'avevano passato a diventare sé stessi.

“Le ragazze”, quindi, si riferisce sia alla protagonista, sia alle ragazze che fanno parte di questa “setta”, ma anche a tutte le donne che, ancora giovani, si trovavano, e si trovano ancora oggi in certi casi, ad affrontare il mondo là fuori. Un mondo che, negli anni 60’-70’, era ancor più denigratorio, vincolante, limitante, giudicante di oggi.
Le ragazze, in un periodo così delicato quale l’adolescenza e la giovinezza, venivano così condizionate dalla società, confinate a un ruolo sottomesso all’uomo, dove l’unica cosa che possono fare è cercare le loro attenzioni, adeguarsi a loro per farsi volere bene.
Quella della ricerca di attenzioni, e di una identità, è una condizione tipica dell’adolescenza, e la protagonista la vive completamente. La sua famiglia non le dà attenzioni, e lei si sente sola e perennemente affamata di affetto, in cerca di qualcuno che non si fermi solo a guardare la sua inadeguatezza esterna (ovvero, come si sente), ma guardi al di là.
Questo sguardo sembra provenire da Suzanne, una ragazza fuori dagli schemi, da cui la protagonista si sente subito attratta. Lei rappresenta tutto quello che una ragazza per bene non dovrebbe essere, ha un fascino oscuro e Evie vuole le sue attenzioni tanto da finire in un circolo vizioso. Suzanne, però, non è immune alla manipolazione maschile, tanto che è una “discepola” fedele di Russel. Credendo che lui voglia “liberare” da un dogma dettato dalla società su donne e uomini, in realtà non si rende conto, assieme agli altri che lo seguono, che lui sta solo creando una piccola società tutta sua in cui lui è il capo indiscusso.
Adorato come una divinità, custode di chissà quale sapere e saggezza, che fa vedere loro tutto da un’altra prospettiva. I suoi discepoli sono accecati, non vedono che oltre tutte queste chimere e illusioni non vi è altro che, ancora una volta, un uomo con i suoi desideri, un uomo mediocre che, in realtà, vuole quello che tutti quanti vogliono: la fama, il successo, i soldi.

Eravamo state con gli uomini, gli avevamo lasciato fare quello che volevano. Ma non avrebbero mai conosciuto le parti di noi che gli tenevamo nascoste: non ne avrebbero mai sentito la mancanza e non avrebbero neppure capito che c'era qualcos'altro da cercare. 

Tale meccanismo malato va così oltre che anche quando la sua incorruttibilità viene inevitabilmente rotta dalla durezza del mondo reale, il suo gruppo non lo abbandona, non lo smaschera, ma si stringe attorno a lui, condividendo le sue paranoie, la distorsione della realtà che applica a quello che lo circonda.
La sua “setta” si fa convincere che l’unica cosa giusta da fare è quella che dice Russel: fare un gesto grande, spaventoso, che tutti ricorderanno. A che pro? Non ha importanza, basta che lo dica Russel, che risponde a qualsiasi dubbio, se mai ce ne fossero, con papponi di spiegazioni che non stanno su, che invocano la libertà, la sovversione dei poteri forti, l’odio per il conformismo, la borghesia e la normalità.
Le ragazze sono al centro: sono loro le più fervide discepole, loro fanno i sacrifici più grandi.

Si tratta di un romanzo che, a livello di trama, non dice granché di nuovo, almeno se si conoscono le vicende della setta di Charles Mason. Ma dà uno sguardo intimo a dei meccanismi psicologici molto interessanti. Rende giustizia al mondo femminile che, in un certo senso, non è molto diverso da com'è oggi. E lo fa con uno stile e una scrittura sublimi, che rendono tutto saliente, intimistico, in un certo senso emozionante.
Non è stato facile staccarsi dalle pagine. La voce narrante di Evie è, al tempo stesso, ingenua ed estremamente saggia, ed è impossibile non provare empatia per lei, perché tutte noi donne, almeno una volta nella vita, ci siamo sentite come si sente lei.
Una lettura che lascia il segno.

Non che stessero cadendo da chissà quali altezze: sapevo che il semplice fatto di essere una ragazza a questo mondo ti riduceva la capacità di credere in te stessa. I sentimenti sembravano qualcosa di totalmente inaffidabile, come i balbettii sconnessi ricavati da una tavoletta per le sedute spiritiche. Da piccola, andare a farmi visitare dal medico di famiglia era stressante proprio per questo motivo. Mi faceva domande delicate: come mi sentivo? Come avrei descritto il dolore? Era più acuto o più diffuso? Io lo guardavo con disperazione. Avevo bisogno che mi dicesse lui qualcosa, era quello il senso dell'andare dal dottore. Fare un esame, passare dentro una macchina che mi setacciasse gli organi interni con raggi di precisione e mi dicesse qual era la verità.

Alla prossima!

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