Ci
vuole coraggio per morire. No, non parlo di quelle morti violente e
indolori in cui il diretto interessato non ha neanche il tempo di
accorgersi di cosa gli stia accadendo.
Parlo
di ben altra morte.
Ci
vuole coraggio per decidere di morire. No, non il suicidio.
Quella
è solo una via falsamente facile che la gente disperata decide di
percorrere.
La
morte di cui parlo, è una morte forzata, sofferta, necessaria. Dove
una scelta può cambiare tutto.
E’
dura decidere di abbracciare di propria volontà le spire della
morte.
Ma
devo farlo.
E’
dura per me accettare di abbandonare tutto ciò in cui ho creduto.
Tutto ciò che è stato, tutto ciò che possiedo.
Ma
mi ci vuole ancor più coraggio per gettarmi tra le braccia della
morte sapendo che non potrò mai più rivedere il tuo viso. Il volto
da ingenua bambina che ancora conservi, nonostante gli anni che
passano e le rughe lievi che hanno iniziato a intaccarlo.
Quel
volto che per anni ho amato, in silenzio.
Adesso
è distorto da un oscuro terrore: non avrei mai voluto vederlo così.
Gli occhi sbarrati e spaventati, la mano stretta sul pancione
rigonfio. Tuo figlio.
Non
il nostro.
Ma poco importa.
Non
ho mai potuto fare niente per te. Per noi.
Sin
da quando ti ho vista la prima volta, per i corridoi della scuola,
non ho fatto mai niente per poterti conquistare.
Sono
stato un vigliacco, eh?
Ho
trascorso la mia vita osservandoti. Ed è la stessa cosa che faccio
in questo attimo eterno. L’attimo della mia scontata decisione.
E’
dura da prendere.
Ma
tra un po’ non dovrò pensarci più, giusto?
E
finalmente avrò fatto qualcosa per te.
Ti
avrò dimostrato il mio amore. In un ultimo, folle gesto.
Ma
non posso fare a meno di pensare: perché?
Perché
sta succedendo tutto questo? Perché, mia dolce Lisa, stamattina sei
entrata nella Posta della tua città?
Perché
dovevi pagare delle bollette. Hai una famiglia adesso. Un marito, una
casa.
E
tra poco anche un bambino.
Ma
allora, perché proprio oggi, caro il mio dannato rapitore, dovevi
entrare nella stessa Posta, con un cappuccio a coprirti il volto e
una pistola?
Perché
sei un criminale.
Ma,
perché proprio adesso?
Saresti
potuto venirci prima, o dopo che la mia adorata se ne fosse andata…
Solo
un perché mi è chiaro. Perché io sono qui. Mi sembra quasi di
averlo sempre saputo.
Non
ho bollette da pagare, non ho una famiglia da mantenere, e tantomeno
sono un criminale.
Ma
mi sembra che ora, la forza che mi ha spinto a seguirti fin qui,
stamattina, acquisti un senso.
Per
salvarti.
Quando
il rapinatore ha incominciato a strillare, puntando la pistola a
destra e a manca, tu hai urlato, attirando l’attenzione su di te.
E
lui ti ha fissato.
Avrà
pensato che fossi una buona vittima da immolare. Così tutti gli
altri ostaggi, spaventati, si sarebbero stati buoni e avrebbero fatto
quello che voleva lui.
Nella
mia testa, ho pensato “Non lei, non lei, non lei!”
Ma
lui ha scelto te.
Ora
che ho preso una decisione è tutto più facile. Dannatamente facile.
Fisso
il tuo viso per un’ultima volta. Sei perfetta come sempre.
Vivrai
anche per me. Sognerai anche per me.
Mi
pare di vedere tutto al rallentatore: il rapinatore, il criminale,
che ti punta una pistola contro, il sorriso sadico che si distende
sul suo viso.
Incontrollabilmente,
sorrido anche io.
“Addio
Lisa. Ti amo” penso.
Poi
mi getto tra te e la pistola, facendoti scudo col mio corpo.
Vedo
la pallottola venirmi contro, inesorabile, e penso che è il modo
migliore che ho di morire. Preservando il tuo adorato corpo e tuo
figlio.
Alla
fine il colpo arriva, preciso, violento, e un dolore insopportabile
mi scoppia nel torace. Non so bene dove mi abbia preso e per un
attimo perdo quasi i sensi, le lacrime agli occhi.
Cado
a terra, pesantemente e sbatto la testa sul pavimento duro della
sala. Tutto gira, tutto è sfocato, tutto è rosso.
Il
dolore al petto si fa sempre più forte, più lancinante mentre il
sangue, copioso, imbratta tutto.
Con
una mano mi tasto la ferita. Non sopravvivrò. Quindi, per favore,
fate terminare al più presto questa tortura.
Attorno
a me c’è la confusione più nera: non so cosa stia accadendo. Per
un attimo non provo più niente, né dolore né sofferenza.
Quando
riprendo appena i sensi sento la sirena della polizia, e una figura
di fianco a me fugge via.
Il
rapinatore. E’ corso via.
Spero
lo prendano.
Nel
dolore e nel delirio della sofferenza, però, scorgo un volto. Cerco
di metterlo a fuoco.
Sei
tu. Non posso crederci.
I
capelli biondi che ti incorniciano il volto, gli occhioni verdi
bagnati di lacrime. Non credevo di poter rivedere ancora il tuo viso.
Sorrido.
Sei
china su di me, tutto è finito, sei salva e il criminale è corso
via.
—
Resisti!
— mi sussurri con la tua voce da fata. Il tuo volto è preoccupato
e spaventato, ma velato da una esplicita riconoscenza.
Con
un doloroso movimento, ti sfioro una guancia.
Non
riesco più a respirare regolarmente, ma mi godo il momento. Tu mi
stringi una mano.
E’
solo cortesia. Non sai che per me significa molto di più.
Tu
riprendi a piangere, io continuo a sorridere.
—
Grazie
— mi dici, tra le lacrime, mentre chiudo gli occhi, abbandonandomi,
sereno, al mio destino.
Sabrina
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