Titolo: La Giornata di un Guardiano
Tipologia: Racconto
Il
bosco era verde e rigoglioso. Gli alberi formavano un fitto
baldacchino al di sopra dei grandi fiori colorati e dei prati
selvaggi. Il sole trapelava appena attraverso quella coltre, creando
un’atmosfera soffusa e pacata, in quella già magica valle tra i
monti: Lilim.
Un
suono leggero, una melodia confusa e sconnessa, ma piacevole,
invadeva pian piano l’aria vibrante dei profumi della primavera.
Panny
era seduto comodamente sull’erba soffice e fresca, la schiena
poggiata alla corteccia di un albero dalle foglie grandi e carnose.
Provò ancora a soffiare nello strumento che stringeva tra le dita,
cercando di modulare l’intensità del suo fiato. Niente. Il suono
che usciva dallo strumento non era neanche lontanamente paragonabile
a quello che suo nonno, tanto tempo addietro, era riuscito a
riprodurre…
A
pochi metri, una strana figura, che fino ad un attimo prima stava
specchiandosi in un laghetto chiaro e cristallino, si voltò. I
biondi capelli per metà intrecciati dietro alla nuca lasciavano
scoperte le lunghe e appuntite orecchie del centauro dalla pelle
ambrata.
— Ehi,
Panny, ancora a perdere la testa con quello zufolo? E’ roba da
vecchi! Lascia stare! —
gli
disse il ragazzo, muovendo poi qualche passo verso di lui.
Panny
lo guardò con stizza, passandosi poi una mano nella sua cresta
fucsia acceso.
— Fatti
gli affari tuoi, intesi? E fai attenzione a non cadere di faccia nel
laghetto, piuttosto — gli disse, ma poco dopo ridacchiò, tirandosi
sulle sue gambe caprine e spolverandosi il manto con le mani. Mosse
un poco la coda, in un movimento buffo.
Poi
il fauno alzò il volto verso l’esile ragazza che sedeva sul ramo
di un albero dai grandi frutti violacei. La ninfa lo guardò di
rimando: la pelle era bianco latte, così come i suoi occhi e i suoi
capelli lunghissimi. Un ciuffo le copriva quasi metà volto.
— Trovato
qualcosa di buono, Tany? — le chiese, sbadigliando e rimettendo il
flauto nella piccola sacca che portava al collo.
Lei
annuì, e stringendo tra le mani un piccolo cestino colmo del suo
bottino, fece un balzo, atterrando morbidamente davanti a lui.
— Ovvio,
cosa credevi? Prima di fare la guardiana assieme a voi due
scansafatiche ero una raccoglitrice! —
— Pensavo
fossi più impegnata a piangerti addosso perché non sei nata fata,
sirena o qualcosa di più interessante… — sogghignò sarcastico
il centauro, di nome Sen.
Lei
lo fissò truce, per quanto glielo permettesse il suo viso da
bambina.
Prima
che i tre giovani potessero aggiungere altro, nella radura si diffuse
una nuova melodia. Una voce, tutt’altro che delicata, urlava. Al di
sopra del monte principale di tutta Lilim, la sirena Lory si sgolava.
Se avessero strizzato appena gli occhi, guardando verso la cima del
monte, avrebbero potuto intravederla, mentre con una mano si tastava
la gola.
I
tre ragazzi si fissarono.
Era
l’allarme, e poteva significare solo una cosa: nel mondo di Lilim
era entrato qualcuno. Un umano era riuscito a penetrare nella loro
dimensione magica.
Questo
significava più lavoro per loro, che erano incaricati di proteggere
le “porte” e impedire che qualcuno riuscisse a attraversare il
bosco per arrivare al villaggio. Era un ruolo importante, quello del
guardiano.
— Che
seccatura… — sbottò Sen, accarezzandosi la lunga chioma dorata.
— Spero che non chiamino noi. —
— Lo
dico sempre io, che sei uno scansafatiche! — disse la ragazza,
aggiustandosi l’abito, che altro non era che una tunica di larghe
foglie verde acido legate tra loro con dello spago scuro.
— Dovremmo
chiamare Lux? — chiese Panny, arricciandosi il pizzetto marroncino,
la cui punta tendeva vagamente al rosa. Poche settimane prima aveva
tentato di tingersi anche quello di fucsia, ma evidentemente la sua
barbetta aveva una consistenza diversa dai suoi capelli, e si era
scolorita irrimediabilmente non appena aveva fatto il suo bagno
giornaliero nello stagno.
Sen
agitò una mano verso di lui.
— Non
essere sciocco, sarà solo una grana inutile, ritrovare l’umano. Io
propongo di andare alla taverna e farci un bel bicchierino alla sua
salute! —
Nel
frattempo, la sirena Lory aveva smesso di mettere a dura prova le sue
corde vocali, e probabilmente era già tornata a sguazzare nel suo
stagnetto. Tany stava appunto guardando verso il monte.
— Mentre
voi architettate le vostre stupidaggini, io torno a raccogliere
frutti. Molto probabilmente è una finta. Quella Lory si monta la
testa solo perché lei ha la coda da pesce e noi ninfe no! Ricordate
l’altra volta, che si mise a sbraitare, e alla fine si scoprì che
lo aveva fatto soltanto perché si era ritrovata una doppia punta? —
Prima
che potesse finire di parlare una fiamma rosso vermiglio si accese
poco al di sopra delle teste dei tre amici. Dalle fiamme comparve un
pennuto rosso sangue: aveva il becco dorato, e la punta delle sue
penne era di un brillante giallo-arancio. Era una fenice.
Si
posò sulla spalla di Sen, che la fissò con diffidenza e stupore.
Poi
la fenice si schiarì la voce e parlò con tono serio e composto.
— Ho
una comunicazione da farvi, ragazzi. Quest’oggi, nel reame di
Lilim, è stata rilevata la presenza di un essere che di magico non
ha proprio nulla. Non vi pare un evento per lo meno increscioso? —
La
voce sarebbe stata ben intonata alla figura di un anziano e saggio
signore. Invece, a parlare, era un volatile. Questo, però, non parve
turbare i tre ragazzi.
— Anche
il fatto che siate spaparanzato sulla mia spalla mi pare increscioso
— mugugnò Sen, imbronciato. La fenice lo ignorò.
— Confido
in voi per trovare l’intruso e portarlo via al più presto… E a
tal proposito, credo che sia doveroso che tu, Panny, abbia un ruolo
principale in questa missione. Trova l’umano, parlagli e
accompagnalo fuori da questa terra. —
Due
occhi neri fissarono molto intensamente il fauno con la cresta.
— E
perché proprio io, Lux? — chiese Panny, con tono di voce
rispettoso. Era pur sempre un saggio del villaggio quello con cui
stava parlando.
— Perché
sei il più normale, ovvio. —
Sen
fece schioccare la lingua, incrociando le braccia sul petto
muscoloso, ricoperto di tatuaggi e arabeschi.
— Lui
sarebbe normale?
Ma se sono io il più bello, qui! —
Tany
lanciò al centauro un’occhiata annoiata e stizzita assieme, come
se avesse voluto tirargli un pugno in testa. Ma non lo fece.
Lux
sospirò, per quanto una fenice possa sospirare, prima di replicare
con voce paziente: — Sai com’è, tu hai quattro zoccoli e una
coda da cavallo, non rientri esattamente nel concetto di “normale”
che hanno gli umani… —
— Ma
lui ha la cresta! — esclamò Sen, indicando Panny.
Lux
gli riservò un’occhiataccia.
— L’umano
è uscito dalla porta A296, vicino al grande lago Nevors — rispose
la fenice. — Subito dopo averlo trovato, dirigetevi verso una delle
“porte’’. Confido in voi… — e, così com’era venuta, la
fenice di nome Lux scomparve in uno sfavillio di fiamme rossastre.
Sen
fece una smorfia di dolore, strofinando forte una mano sulla spalla
bruciacchiata.
— Direi
che è ora di andare — sussurrò Panny. — Se volete, posso pure
andare da solo. Come diceva prima Sen, questo lavoro sarà proprio
una noia… —
— Noi
veniamo con te — disse Sen, deciso, e Tany annuì. Panny, sorpreso,
li guardò con un’espressione interrogativa dipinta sul volto.
— Non
abbiamo niente di meglio da fare — disse Sen con convinzione,
incrociando le braccia sul petto e sospirando, fiero.
Dopo
aver raccolto le loro borse, si misero in cammino, silenti e
pensierosi. Ognuno, in cuor suo, cercava di immaginare come potesse
essere l’umano che aveva fatto incursione nel loro mondo segreto.
A
nessun umano era permesso entrare nella Terra di Lilim, come a nessun
“lilimiano” era consentito varcare la porta delle dimensioni e
entrare nel cosiddetto mondo “reale”. Anche perché un fauno, una
fata o un centauro avrebbero di certo attirato l’attenzione.
Vi
erano diverse porte poste nei due mondi, luoghi di connessione che
bisognava nascondere e proteggere. Nel mondo di Lilim erano
concentrati tutti nel bosco; di essi, tre erano porte per “andare”:
il Palazzo, la Caserma, e il Piccolo Giaciglio. Erano i soli luoghi
da cui un “lilimiano” poteva accedere al mondo reale.
Sfortunatamente, però, vi erano centinaia, forse migliaia di porte
nel mondo degli uomini, che portavano a Lilim. Sorvegliarle era una
seccatura, e gli umani che riuscivano a trovarle erano parecchi.
— Ma
dov’è la porta A296? Io sono stanca! — si lamentò Tany,
camminando al fianco dei due ragazzi.
Panny
fece spallucce. — Ehm… non ricordo esattamente… so solo che è
al nord… parecchio nord, eh! — disse, cercando di mettere enfasi
nelle sue parole.
Il
bosco di Lilim era enorme, una vastissima selva dove la magia
dilagava nelle valli, e poi pian piano verso la pianura. Era proprio
lì che si stavano dirigendo, verso le sponde del lago Nevors.
— E
dai, Sen. Per favore! Fammi salire sulla tua schiena… lo sai che ti
voglio bene! — aveva preso a dire Tany dopo cinque minuti di
cammino, tormentando il braccio del giovane e avvenente centauro.
— Non
se ne parla! Mi rovinerai il mantello come l’ultima volta — disse
Sen, impettito, continuando a camminare senza guardarla.
— Per
favore! Sai che non lo chiederei, se tu non fossi così bello… —
lo blandì la ninfa, furbescamente.
— Sul
serio? — sussurrò Sen, guardandola compiaciuto, facendosi passare
le dita tra i capelli lunghi e setosi. — E va bene, sali. —
La
ninfa emise un risolino contento, salendo poi in groppa al possente
centauro.
— Posso
salire anch’io? — chiese Panny. Un paio di occhi bianchi e un
paio di occhi celesti lo fissarono.
— Stavo
solo scherzando! — ridacchiò il fauno, correndo più avanti per
andare a bagnarsi le dita in uno stagno dove un paio di draghetti
bluastri si stava abbeverando.
Non
appena furono in vista del lago Nevors tirarono un sospiro di
sollievo; Tany scese dalle spalle di Sen e si misero a cercare
l’umano.
Panny
lo individuò dopo pochi minuti. Era una ragazza, con capelli color
castagna lunghi al mento; era di spalle, inginocchiata dietro un
arbusto, nell’ombra. Si aggrappava con ostinazione alla corteccia
dell’albero davanti a lei, spiando qualcosa al di là. Non si era
accorta di loro.
Con
un gesto, Panny richiamò Tany e Sen.
— È
lei? — chiese Tany. Cercarono di mantenersi a distanza per non
palesare la loro presenza.
— Suppongo
di sì — sussurrò Panny, pensando al modo migliore per avvicinarsi
a lei senza impaurirla.
— Guardate
— disse Sen, indicando qualcosa, sulla riva del laghetto. La sua
voce si era fatta più dolce.
Sen
aveva ragione. La giovane umana doveva essere rimasta affascinata
dalle figure longilinee e incantevoli delle fate che facevano il
bagno nel lago. Erano cinque, ognuna dai capelli e le ali di un
colore diverso e sgargiante, e stavano ridacchiando, giocando e
schizzandosi acqua mentre si rincorrevano.
Panny
dovette ammettere che erano davvero graziose… ma non era il momento
di pensare alle fatine.
— Voi
restate qui — sussurrò ai suoi due compagni, e si avvicinò piano
alle spalle dell’umana. A pochi metri da lei, gli mancò quasi il
coraggio, gli tremavano le mani. Non aveva paura: era solo diffidente
e intimorito da quella creatura, così semplice, eppure così
diversa.
— Ehm…
scusa… cosa stai facendo? — balbettò. Si dette subito
dell’idiota. Che bell’inizio! Con la coda dell’occhio scorse
Sen, in lontananza, che si avvicinava alle fate e faceva delle facce
ebeti, cercando di ammaliarle, o meglio, di abbordarle.
L’umana
non si voltò, troppo impegnata a fissare a bocca aperta quelle
creature per lei totalmente assurde. Panny riuscì, però, a cogliere
alcuni tratti del suo volto. Gli occhi erano di un brillante verde
foglia e dalla forma sottile, e i lineamenti erano dolci, il naso
all’insù, le guance piene.
La
ragazza aveva sussultato al suono delle sue parole.
— Cosa…
cosa so-sono quelle? — balbettò, sommessamente. Panny sperò
vivamente che non fosse sotto shock, o qualcosa del genere.
Al
suo fianco, comparve Tany. Panny fece roteare gli occhi.
— Ehm…
senti… umana… vieni con noi, per favore — disse dopo, incerto.
La
ragazza si voltò e strabuzzò gli occhi, incespicando all’indietro
e ricadendo sul sedere, tra gli arbusti. Con le braccia cercò
freneticamente di riemergere da quella foresta di rami e foglie, poi
li fissò inorridita.
— C-cosa
se-sei tu?! — chiese, la voce stridula.
— Ehm…
è una storia lunga… — annuì Panny. — Ma stai tranquilla…
siamo dei Guardiani, vogliamo aiutarti… —
L’umana
si mise a urlare, come se qualcuno la stesse scuoiando viva.
— Calmati,
calmati! Per favore! — le disse Panny, alzando le mani davanti a
sé. Lei si zittì, riprendendo fiato prima di ricominciare a parlare
in fretta. — Cosa volete da me? Dove mi trovo? Che posto è mai
questo? —
Prima
che Panny potesse rispondere, comparve al loro fianco anche Sen, che
si guardò attorno, focalizzando poi l’umana, in modo molto
tranquillo.
— Oddio,
no! Non prendetemi a frecciate! — disse la ragazza, coprendosi il
viso con le mani.
— Ehi!
Ma perché voi umani credete tutti a questi luoghi comuni? Non sono
un dannato arciere! — disse Sen, stizzito.
— Sarai
mica un cavaliere? — riprese la ragazza, guardandolo con un
sorrisetto. Tany scoppiò a ridere.
— Ah
ah ah, molto divertente! — sbottò Sen, stizzito. — Io ho il mio
amato fucile. Altro che frecce, non sono un dannato romanticone
antiquato come Panny, che suona ancora lo zufolo! —
Prese
il lungo fagotto che portava dietro la schiena e mostrò il fucile
che conteneva. Se lo rimise in spalla, impettito di dignità.
L’umana
guardò il fucile e annuì, poi tornò a fissare Panny. — E tu non
hai armi? —
— Sono
un pacifista! Perché dovrei averne? —
— Non
sei anche tu un Guardiano? —
— Sì,
ma a tempo perso — concluse Panny con un’alzata di spalle.
Gli
occhi della ragazza passarono su Tany.
— E
lei? Non ha ancora affatto parlato. Cos’è? —
— Sono
una Ninfa, il mio nome è Tany — rispose lei.
— Iaquatanina!
Il suo vero nome è IAQUATANINA! — esclamò Sen, prima di
sbellicarsi dalle risate, mantenendosi il petto e tirando la testa
all’indietro.
— Smettila
di chiamarmi così! — disse Tany, risentita.
— E
tu non hai un’arma? — chiese l’umana, quasi stesse facendo un
interrogatorio. La paura era completamente scomparsa dai suoi occhi.
— Vuoi
darle anche un’arma? Già così è depressa, se le dai un’arma
come minimo si ammazza! — disse Sen, continuando a sghignazzare.
Tany
lo guardò male. Un ramo sopra di loro si staccò dall’albero,
cadendo in testa al centauro.
— La
mia arma è il potere che ho di dominare la natura. Più o meno a mio
piacimento. Almeno per procurare dolore a certi idioti… —
— Ahio!
Dannazione, mi hai rovinato i capelli! — si lamentò Sen,
tastandosi la testa.
— Bè,
non siete poi così pericolosi — disse l’umana, alzandosi e
spolverandosi i jeans. — Io sono Lucy. Tu sei Tany, giusto? —
Si
strinsero la mano.
— Io
sono Sen. —
— Ed
io sono Panny.—
— … e
sei? — chiese Lucy, stringendogli la mano, dubbiosa.
— Un
fauno punk, non lo vedi? — disse Sen, sogghignando. Panny gli
riservò un’occhiataccia. — Sono un fauno, punto — lo corresse
il ragazzo dalla cresta color fucsia.
Dopo
che le ebbero spiegato più o meno la situazione, scoprirono che Lucy
era capitata per caso nelle vicinanze di uno specchio molto antico,
che fungeva da portale per Lilim. La versione ufficiale era che lei
era uscita col suo ragazzo, che aveva promesso di portarla in un
luogo speciale, che si era rivelato essere una casa antichissima
piena zeppa di vecchi mobili e di polvere. In un momento in cui lui
si era allontanato, Lucy era sgattaiolata di stanza in stanza finché
non aveva visto lo specchio, e, specchiandosi… bum!
Si era ritrovata dall’altra parte!
— Il
tuo ragazzo deve essere un Druido — le spiegò Sen, mentre la
portava sulla schiena. — Per farsi bello davanti a te, ti ha
portato in un luogo che invece avrebbe dovuto proteggere e
nascondere. I Druidi sono degli umani un po’ speciali. Come i
Guardiani, però sono del mondo reale.
Nel
frattempo, dietro di loro, Tany e Panny consultavano una vecchia e
logora cartina.
— Non
ci saremo mica persi? — chiese la ragazza. Panny mugugnò.
— Voi
siete creature del bosco, non dovreste conoscerlo a memoria? —
— Hai
letto troppe favole, bambolina — gli rispose Sen, ridacchiando.
Ma
proprio mentre sembrava che avessero preso la via giusta, ecco che
Panny scorse, in lontananza, delle piccole figure scure, che
ingombravano la via acciottolata del bosco.
— Dannazione…
— sussurrò il fauno, alzando le braccia per fermare i suoi
compagni.
Tany
si portò le mani alla bocca.
— E
adesso come facciamo? —
— È
proprio in questi momenti che ti servirebbe avere le ali,
Iaquatanina!- disse Sen. Lei, per risposta, gli tirò un calcio.
— Chi
sono? — chiese Lucy, preoccupata, sporgendosi dalle spalle di Sen.
Panny
deglutì, mentre fissava l’orizzonte.
— Ometti…
—
Lucy
sgranò gli occhi. — Eh? —
— Li
chiamiamo così, ma voi credo li conosciate come ‘goblin’. Sono
una specie di nani, ma più piccoli. Hanno il corpo di bambini di due
o tre anni, la testa rotonda e la faccia brutta. —
— E
voi vi state facendo problemi per dei piccoletti bruttini? —
— Tu
non li conosci! — disse Sen, preoccupato anche lui. — Sono sempre
armati fino ai denti di lance, spade e coltelli da macellaio! —
— Ok,
ma cosa vogliono? — sussurrò Lucy, che stava incominciando a
impaurirsi.
— Hanno
sentito che c’è un umano in circolazione e vogliono catturarlo
per… —
Panny
si voltò a guardare Sen.
— Per?
— li esortò la ragazza.
— Per
mangiarlo. Sono carnivori, e di solito sbranano solo animali piccoli,
perché se dovessero attaccare noi verrebbero ammazzati… ma per
loro gli umani hanno una carne troppo buona per lasciarseli scappare…
— disse Tany, senza troppi giri di parole.
Panny
rabbrividì.
— E
allora saliamo in groppa a Sen, corriamo al galoppo, e scappiamo via!
— disse Lucy, stringendosi alle spalle del guardiano.
Il
centauro scosse la testa. — Non posso farcela. Non riuscirei
nemmeno a spararli, sono troppi! —
— Sarebbe
peggio… —sussurrò Panny.
Sen
si voltò e vide Tany, seduta sul pavimento erboso, che si stringeva
le ginocchia al petto con aria afflitta. — Invece di deprimerti,
cerca una soluzione assieme a noi. —
Lei
lo guardò di sottecchi, poi si alzò e tirò fuori da chissà dove
un coltellino. Prima che potesse protestare, tagliò con un colpo
netto una ciocca di capelli di Sen.
— Che
diavolo fai?! —
— Ci
salvo le chiappe — sussurrò lei, seria.
Prese
Lucy per un braccio, spiegandole il piano,
— Dobbiamo
passare inosservati. Fingiamoci lilimiani qualsiasi. Qui vivono tante
creature strane, e gli ometti sono stupidi. Ci crederanno. —
Legando
con lacci e fili d’erba e unendo insieme foglie e arbusti,
confezionò un vestito simile al suo, fatto di pura vegetazione.
Dopodiché, Tany fece girare i ragazzi. Quando disse loro che
potevano guardare, Lucy indossava l’abito di foglie che la copriva
dal seno in giù e che le arrivava alla coscia. I capelli erano
intrecciati ad altri capelli bianchi e lunghi: qualche ciocca di
Tany.
La
ninfa doveva aver ricavato dai frutti raccolti quella mattina la
tinta viola che ora colorava il volto, le braccia e le gambe
dell’umana, e dietro al sedere le aveva fissato la ciocca di
capelli di Sen, come se fosse una coda.
Sen
e Panny la guardarono. — Non ci cascheranno mai — esclamarono,
insieme.
Decisero
di provarci ugualmente, e si avvicinarono allo schieramento di ometti
dalla faccia arcigna.
— Possiamo
passare? — chiese Tany, mandata avanti perché aveva il viso più
carino. Uno degli ometti grugnì, fissandoli con i suoi occhietti
neri e acquosi.
Tany
e gli altri lo presero come un sì, e incominciarono a passare. Panny
pregava tra sé e sé che non dicessero niente, che non li
fermassero…
Uno
degli ometti incominciò a squittire, parlando fitto nella loro
lingua.
Il
gruppetto di ragazzi lo ignorò, continuando a camminare piano.
— Ragazzi…
— sussurrò Lucy, piagnucolando.
Si
voltarono a guardarla. Centinaia di piccoli occhi neri li fissavano,
lampeggiando, passando dai loro volti alle mani di uno degli ometti.
Quest’ultimo era alle spalle di Lucy e stringeva tra le dita la
ciocca di capelli di Sen che doveva sembrare una coda… ma che
adesso era caduta per terra.
— VIA!
— urlò Sen. Con un gesto fluido afferrò Tany sotto un braccio, e
con l’altra mano spinse Panny verso la sua schiena. —
Aggrappatevi! —
Il
fauno fece appena a tempo a gettarsi sul dorso del compagno, che
questo era già partito al galoppo, mentre dozzine di ometti,
inferociti e brandendo le loro armi, li inseguivano e si buttavano su
di loro, cercando di acchiapparli.
Anche
Lucy era salita su Sen, e nella corsa, Panny l’aiutò a montare su,
calciando poi un piccolo ometto che si era aggrappato alle sue gambe.
— Grazie
— sussurrò Lucy, senza fiato.
Nella
corsa pazza, riuscirono a fuggire, rifugiandosi nel folto e correndo
poi verso quello che era inconfondibilmente il Piccolo Giaciglio.
— Ce
l’abbiamo fatta! — urlò Sen, alzando la mano libera al cielo.
Di
lì a poco tutti e quattro scoppiarono in una risata di gioia e
sollievo.
— Ecco!
Siamo arrivati — esclamò Sen, indicando una piccola capanna
davanti a loro. Vi si fermarono davanti prima di guardarsi a vicenda.
— Suppongo
che dovrei andare… — sussurrò Lucy, un po’ imbarazzata. Poi
strinse la mano a Sen e Tany.
Quando
arrivò il momento di Panny, lo abbracciò.
— Grazie
di tutto… —
Sciolto
l’abbraccio sorrise, e così anche Panny; poi, un luccichio strano
di occhi, nella foresta alle spalle di lei, lo fece rinsavire.
— Meglio
che tu vada, ora… — disse, passandole i suoi vestiti da umana e
spingendo Lucy verso la porta della capanna. Non voleva far infuriare
la padrona di quegli occhi gelosi, ovvero la sua fauna fidanzata.
Lucy
aprì la porta, ma vide che all’interno non vi era altro che buio.
— Ehm… — esordì, incerta.
— Buon
viaggio! — esclamò Sen, ridacchiando e dandole uno spintone.
La
ragazza fu avvolta dal buio e scivolò nella botola ai suoi piedi,
urlando.
I
tre amici non si preoccuparono: di lì a qualche minuto si sarebbe
ritrovata nel mondo degli umani.
Panny
si guardò attorno, preoccupato. Sen lo scrutò ridacchiando.
— Tranquillo,
amico. Peggio degli ometti non può essere. —
(Non copiare o riprodurre
senza chiedere prima il permesso, grazie!)
Pagine "alleate": Druidi e le creature del bosco, Via della luna numero 7, Spiritello dei boschi
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