Prima della pausa estiva tanto
agognata, ecco qui un'intervista fresca fresca. L'autrice è Lavinia
Petti e la sua opera è “Il ladro di nebbia”, pubblicato da
Longanesi. Un romanzo “urban fantasy” che ho amato per la sua
atipicità e originalità, e per l'atmosfera in cui ti coinvolge. Vi
rimando alla recensione che ho scritto per Penne Matte per saperne di
più!
Lavinia è stata gentilissima
e disponibile a rispondere alle mie domande, è stato un vero piacere
poterla contattare! Le sue risposte mi hanno riportato alle emozioni
provate durante la lettura del suo libro, e trovo che questo sia
fantastico, perché anche solo parlando con lei si percepisce la sua
“essenza”. Vi lascio all'intervista, buona lettura!
Lavinia, quando è nata la
tua passione per la scrittura?
Quando ho avvertito il
bisogno di dare forma alle mie storie. Fin da quando ero piccolissima
avevo un sacco di idee che mi frullavano in mente, inventavo fiabe
per mio fratello e mio cugino, giochi per i bambini del parco, recite
natalizie, caccie al tesoro con indovinelli e poesie… Col passare
del tempo ho capito che se non avessi trovato un mezzo per esprimere
la mia immaginazione avrei rischiato di perderla (è quello che
capita ai bambini quando crescono). Oppure avrei finito col pagare un
analista. Ma per me sognare era troppo importante. Così trascrivere
quelle storie è diventato necessario, parte di un processo naturale:
ero una lettrice, e qualunque lettore, a mio avviso, è uno scrittore
potenziale.
Quali sono le tue letture
preferite?
Sono onnivora. Prediligo i
classici, ma la mia regola è: qualunque genere, qualunque autore, in
qualunque momento. Vario in continuazione perché mi annoio
facilmente e credo che chiunque abbia qualcosa da dire.
A cosa (o chi) ti sei
ispirata per la scrittura de “Il ladro di nebbia”?
Il ladro di nebbia è la
sintesi di molte delle cose che ho amato nei miei primi vent’anni
di vita. Una parte della mia anima è letteralmente scivolata lì
dentro, ed è facile ripescare echi artistici di ogni sorta,
letterari, figurativi, cinematografici.
L’autore a cui debbo di
più è Michael Ende. Con La Storia Infinita, Lo Specchio nello
Specchio, La Prigione della Libertà mi ha permesso di viaggiare
senza muovere un passo. Ende, Gaiman, Murakami… sono scrittori che
raccontano verità attraverso bugie. Ma ogni volta che leggo qualcuna
delle loro storie mi ritrovo a desiderare che esista un universo
parallelo per le cose che immaginiamo.
C'è una storia curiosa
dietro la pubblicazione del tuo romanzo. Cosa è successo e come ti
sei sentita quando hai scoperto che la tua opera aveva colpito e che
una casa editrice ti cercava?
Io il libro l’ho scritto
a diciassette anni, rinchiuso in un cassetto e dimenticato insieme ad
altri sogni. Un paio di anni fa, per puro caso, lo lessero due mie
amiche e mi obbligarono a mandarlo in giro. La mia pigrizia mi spinse
a provarci con ben due editori. Per me avevo fatto il mio dovere:
ancora una volta me ne dimenticai e sparii dall’altro lato del
mondo. È la cosa che so fare meglio, sparire. Riemersi dalle terre
d’Oriente dopo qualche mese e mi ritrovai sommersa di email,
messaggi, chiamate. Pensavo fosse uno scherzo. Quando ho capito che
non c’erano telecamere nascoste ed era tutto vero, ho provato un
grande senso d’imbarazzo. Sono la vergogna di qualunque scrittore.
Sotto sotto, da qualche parte, so che ribolle un mare di felicità,
ma ho ancora tantissima paura per quello che mi sta capitando.
Antonio M. Fonte è un
personaggio particolare, di certo complesso, ma per cui è facile
provare empatia. Quanto ti senti di avere in comune con lui?
Abbastanza. Come dicevo
prima, adoro sparire, amo la solitudine, i gatti, i dettagli e le
storie, e sono ancora piuttosto indecisa se l’essere umano mi
piaccia o meno. Inoltre combino almeno un guaio all’ora. Sono la
persona più maldestra che vi può capitare di incontrare. I miei
amici si domandano come possa essere sopravvissuta per ventisette
anni. Comunque, chi mi conosce e ha letto il libro, sostiene che io
sia un misto perfetto tra Antonio e Genève.
Se volete evitare gli spoiler,
fermatevi qui!
Hai lasciato un grande
alone di mistero attorno alla figura di Genève, tanto che non
sappiamo neanche il suo vero nome. Come mai hai scelto di non
rivelarlo?
Sai, per un attimo avevo
pensato di darglielo e di rivelarlo nei capitoli finali. Poi mi sono
chiesta: perché? La Strega del bosco dice ad Antoine: tu sei tu, il
nome non cambia la natura delle cose. Poco dopo lui scopre che questo
non è totalmente vero, perché ricordando il suo nome ricorda i
dettagli della sua storia, e ritrova se stesso. Ma di Genève non si
conoscono dettagli. Lei è l’Amore. E mi sono detta: se adesso le
do un altro nome mi sembrerà di non conoscerla. E visto che i nomi
sono un elemento chiave, in tutta la mia storia e in tutte le mie
storie, mi sembrava la scelta più saggia.
Il sottile sarcasmo che
pervade il libro e le vicende, anche le più tragiche, aggiunge un
qualcosa in più alla storia. Durante le tue giornate ti capita
spesso di cogliere i particolari sarcastici e “grotteschi” delle
cose? Da dove prendi spunto per questo stile di scrittura?
Lo hai detto: dalle mie
giornate. Da questa città, dalla mia famiglia, dai miei amici, dalle
situazioni paradossali e pazzesche nelle quali ci buttiamo. Per non
parlare della mia passione per la letteratura inglese: il british
humour è uno degli elementi della mia scrittura.
Hai in cantiere qualche
nuovo romanzo? E se sì, quanto sarà simile a “Il ladro di
nebbia”?
Ho tante storie in mente,
soprattutto per ragazzi; mi piace molto anche la fantascienza. Al
momento, comunque, c’è una storia che esige di essere scritta.
Richiederà tempo, tanta, tanta fatica e parecchi sacrifici. Farò di
tutto per distaccarmi da Il ladro di nebbia, non voglio ripetermi.
Certo, per me è impossibile pensare a un tipo di storie scevre da
elementi soprannaturali. Ma se Il ladro di nebbia è un fantasy
psicologico, per modo di dire, il prossimo sarà di stampo
storico-mitologico… sempre per modo di dire. Forse quello che
scrivo appartiene a generi che non esistono e basta. Per i maniaci
delle categorie: io scrivo urban fantasy.
Hai mai pensato ad un
sequel per “Il ladro di nebbia”? E se sì, Antonio M. Fonte, a
cui ci siamo tanto affezionati, potrebbe esserne nuovamente il
protagonista o, almeno, un personaggio secondario?
No, la storia di Antonio
finisce lì dov’è iniziata. Se dovessi parlare ancora di Tirnaìl,
però, mi piacerebbe farlo con una storia diversa… l’unica storia
che non è stata ancora raccontata: quella del Collezionista.
Hai mai pensato, magari
durante un'idea iniziale o un'altra versione, di far finire Antonio e
Genève insieme?
Esiste la versione vecchia
de Il ladro di nebbia, la prima stesura che scrissi a diciassette
anni, in cui il finale è leggermente diverso. Ma mi spiace dirtelo:
Antonio e Genève non stanno insieme neanche in quella.
La “storia d'amore” tra
Antonio e Genève mi ha straziato per la sua bellezza e purezza, e
per il finale malinconico, ma anche dolcemente emozionante. Cosa hai
voluto trasmettere con questo finale?
Malinconia. Adoro questa
parola, è una delle mie preferite. Se è questo che hai provato,
significa che sono riuscita a trasmettere esattamente ciò che
desideravo, e ti ringrazio. Trovo assurdo quanto a volte, nella vita,
ci manchino cose che non abbiamo mai avuto. Ho voluto esplorare
questo sentimento. La trama del libro, il modo in cui è scritto, la
stessa Tirnaìl e i personaggi che Antonio incontra… tutto ne è
impregnato. Capirai quindi che, per forza di cose, anche la sua
storia d’amore doveva andare in questo modo.
Grazie alle sue risposte,
Lavinia è riuscita a sciogliere alcuni miei dubbi, ma una cosa mi
rimane certa: Il ladro di nebbia è uno dei miei romanzi preferiti,
un'opera fantastica per chi ama sognare. Nella malinconia che
trasmette, è evidente la speranza. Cosa si può chiedere di più?
Non vedo l'ora di leggere un
nuovo romanzo di questa sorprendente autrice.
Sabrina
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